Al via la Riforma Cartabia

Separazione, per l’assegno di mantenimento va considerato il tenore di vita

https://aiaf-avvocati.it/articolo/593/separazione-per-l-assegno-di-mantenimento-va-considerato-il-tenore-di-vita

da sito internet AIAF – Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori

In tema di separazione personale dei coniugi, “i redditi adeguati”, cui va rapportato l’assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole al quale non sia addebitabile il fallimento dell’unione, sono quelli necessari a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto nel corso della convivenza.

La necessaria correlazione tra l’adeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente ed il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio ha trovato conferma essendosi ribadito che tale parametro trova giustificazione nella permanenza del vincolo coniugale, non riscontrabile nel caso dell’assegno divorzile, il quale, a differenza dell’assegno di mantenimento, presuppone l’intervenuto scioglimento del matrimonio.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, mediante recente ordinanza, la n. 20228/2022, depositata lo scorso 23 giugno. 

Il Tribunale di Palermo, dopo avere pronunziato, con sentenza non definitiva depositata il 21 novembre 2014, la separazione personale di B.A., esercente l’attività di avvocato, e D.B., dipendente pubblico, con sentenza resa nei giorni 1-2 marzo 2018 rigettava la domanda di addebito della separazione proposta dal B., affidava la figlia minorenne S. ad entrambi i genitori con collocazione prevalente presso la madre e fissava in favore della D. un assegno di mantenimento di Euro 2.500,00 mensili, ponendo altresì a carico del B. un contributo di Euro 4.000,00 per il mantenimento della figlia S. e dell’altra figlia maggiorenne E..

Sull’appello proposto dal B. la Corte di appello di Palermo, con la sentenza n. 876/2020, pubblicata il giorno 8 giugno 2020 rigettava l’impugnazione condannando l’appellante al pagamento delle spese del giudizio in favore della D..

Osservava il Collegio, in particolare, che il Tribunale aveva correttamente escluso l’esistenza dei presupposti per l’addebito della separazione in relazione al giustificato allontanamento della D. dall’abitazione coniugale, avvenuto tra il 23 ed il 24 agosto 2013, quando da plurimi elementi – denuncia presentata dall’appellante, audizione delle figlie della coppia, dichiarazioni acquisite nel corso della disposta c.t.u. – già prima dell’abbandono del domicilio coniugale era emersa una situazione di forte tensione all’interno del nucleo familiare tale da escludere che il volontario abbandono del domicilio avesse avuto efficienza causale sulla intollerabilità della prosecuzione della convivenza, esso piuttosto essendo risultato conseguenza di una crisi familiare preesistente.

Quanto agli aspetti di natura economica la Corte di appello, preso atto del reddito della D. pari ad Euro 28.000,00 annuali e della proprietà di due cespiti immobiliari, uno adibito ad abitazione e l’altro non produttivo di reddito, evidenziava la notevole capacità economica del B., ben superiore rispetto ai redditi dichiarati dal 2009 al 2011, in ragione delle percentuali che lo stesso ritraeva dalle liquidazioni di indennizzi assicurativi riconosciuti ai propri clienti dalle quali aveva preso avvio un accertamento di natura tributaria poi sfociato in un procedimento penale per reati fiscali a carico del predetto con parallelo accertamento di natura tributaria teso alla ripresa di redditi non dichiarati per gli anni 2009/2012 per un importo di circa Euro 1.300.000,00.

La Corte di appello, anche sulla base di ulteriori elementi dimostrativi delle notevoli risorse economiche del B., che gli avevano consentito di fare fronte al pagamento del debito fiscale senza dismettere il cospicuo patrimonio immobiliare composto da immobili di pregio in varie zone della città di Palermo, riteneva corretta la quantificazione dell’assegno fissata dal Tribunale in relazione al conclamato possesso di rilevanti liquidità in capo allo stesso, che pure avevano consentito al B. di acquistare un altro immobile del valore di oltre un milione di Euro senza dismettere il patrimonio immobiliare. Inoltre, rilevava la Corte che costui aveva fatto ricorso nel 2016 a mutui per completare l’acquisto di una villa con piscina e di un bene di lusso nel 2016, da ciò desumendo che lo stesso professionista aveva continuato a sostenere lo stesso tenore di vita di cui godeva negli anni della convivenza coniugale.

Il complesso di tali elementi non rendeva dunque il reddito del B. compatibile con le risultanze delle più recenti dichiarazioni dei redditi, correttamente ritenute dal Tribunale inattendibili in relazione all’accertamento di elementi ulteriori apprezzabili in termini economici ed idonei ad incidere sulle condizioni economiche del B. anche in assenza di un accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare. Aggiungeva, poi, la Corte di appello che nessun elemento era stato offerto dall’appellante per comprovare che la condanna penale inflitta avesse inciso sulla propria attività professionale, avendo anzi il giudice di primo grado basato la sua valutazione su una stima prudenziale del reddito annuo di Euro 500.00,00 a fronte di una media annua dei ricavi pari ad Euro 650.000,00 tra il 2009 ed il 2012.

Riteneva, infine, il Collegio corretta la determinazione dei redditi stimati della D. e considerava congrua la quantificazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge non dotato di redditi adeguati sulla base del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, dovendo reputarsi ancora attuale il dovere di assistenza materiale in seno alla separazione.

Il B. ha proposto ricorso per cassazione, impugnando la sentenza della Corte di appello.

Con il primo motivo il ricorrente prospetta la violazione degli artt. 143 e 146 c.c., art. 151 c.c., comma 2, e artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. La Corte di appello, nell’escludere l’efficacia causale dell’abbandono del domicilio coniugale da parte della D. sulla rottura del vincolo di coniugio, avrebbe utilizzato dichiarazioni delle figlie benché mai audite nella sede processuale e senza fondarsi su risultanze probatorie che spettava alla D. fornire, essendo pacifico il di lei allontanamento nell’agosto dell’anno 2013.

Peraltro, dal momento dell’allontanamento della D. e delle figlie alla data in cui la moglie era stata autorizzata, nel corso dell’udienza presidenziale, a vivere separata dal marito il comportamento successivo al venir meno della convivenza avrebbe dovuto assumere rilievo ai fini dell’addebito della separazione.

Le censure esposte nel primo motivo sono state ritenute inammissibili o infondate.

La Corte di appello, si legge nel provvedimento, nell’ambito delle prerogative alla stessa riservate in ordine all’apprezzamento degli elementi probatori raccolti nel corso del giudizio, ha ritenuto l’allontanamento della moglie e delle figlie dal tetto coniugale inidoneo ad incidere sul vincolo di coniugio, qualificandosi come conseguenza e non già come causa dell’intollerabilità della prosecuzione della vita coniugale, essendo intervenuto in un momento nel quale la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile e a sostegno di tale fatto ha richiamato plurimi elementi indiziari. Elementi che la Corte di appello ha stimato idonei a conclamare un clima di tensione di notevole intensità all’interno del nucleo familiare che aveva determinato l’interruzione di ogni contatto tra le figlie ed il padre e già di per sé solo dimostrativo del fatto che la prosecuzione della convivenza coniugale era divenuta intollerabile già prima dell’allontanamento della D..

Ora, secondo il Collegio, si tratta di considerazioni coerenti con quanto affermato dalla giurisprudenza in ordine all’incidenza dell’allontanamento sul vincolo di coniugio -cfr., da ultimo, Cass. n. 648/2020, Cass. n. 11792/2021- ed espressive di prerogative relative alla valutazione del materiale probatorio – nel caso di specie in punto di accertamento della intollerabilità della prosecuzione della convivenza in epoca anteriore all’allontanamento della D. – che si apprezzano come insindacabili in questa sede di legittimità – cfr. Cass. n. 19547/2017, Cass. n. 29404/2017, Cass. n. 16056/2016-.

Parimenti inconferente risulta poi, ai fini del giudizio sull’addebito della separazione, la questione della asserita sottrazione della prole agli incontri con il padre per effetto dell’allontanamento delle figlie dall’abitazione coniugale protrattosi fino alla comparizione personale dei coniugi sulla quale indugia il ricorrente, la stessa attenendo alle relazioni fra la prole ed i coniugi e senza che, peraltro, il ricorrente abbia dimostrato di aver dedotto nelle precedenti fasi del giudizio di merito come causa incidente in via autonoma rispetto all’allontanamento sulla rottura del ménage familiare.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.c., e artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione al ritenuto erroneo utilizzo, da parte della Corte di appello di Palermo, del canone del tenore di vita matrimoniale ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento, a dire del ricorrente superato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 18287/2018 e da successive pronunzie di questa Sezione -Cass. n. 16405 e n. 16809 del 2019-.

Il motivo viene ritenuto infondato.

La giurisprudenza della Suprema Corte si è ormai stabilizzata nel ritenere che la determinazione dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge in misura superiore a quella prevista in sede di separazione personale, in assenza di un mutamento nelle condizioni patrimoniali delle parti, non è conforme alla natura giuridica dell’obbligo, presupponendo l’assegno di separazione la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione tra l’adeguatezza dei redditi ed il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Al contrario tale parametro non rileva in sede di quantificazione dell’assegno divorzile, che deve invece essere determinato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, essendo volto non già alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, bensì al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi – cfr. Cass. n. 17098/2019 -.

A ben vedere, una consolidata giurisprudenza è ferma nel ritenere che qualora sussista una disparità economica tra le parti, “i redditi adeguati”, cui va rapportato in sede di separazione l’assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole al quale non sia addebitabile il fallimento dell’unione, sono quelli necessari a garantire il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto nel corso della convivenza (cfr. Cass. n. 12196/2017; Cass. n. 1162/2017; Cass. n. 6864/2015; Cass. n. 13026/2014). La necessaria correlazione tra l’adeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente ed il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio era stata messa in discussione da alcune pronunce (cfr. Cass. n. 16405 del 2019 e Cass. n. 26084 del 2019) atte ad equiparare i criteri di attribuzione e determinazione dell’assegno separativo e divorzile.

E tuttavia, l’indirizzo tradizionale, che insiste sulla differenza di presupposti tra l’assegno divorzile e quello di separazione, ha trovato definitiva conferma anche di recente, essendosi ribadito che per quest’ultimo emolumento il parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio trova giustificazione nella permanenza del vincolo coniugale, non riscontrabile nel caso dell’assegno divorzile il quale, a differenza dell’assegno di mantenimento, presuppone l’intervenuto scioglimento del matrimonio -cfr. Cass. n. 13408/2022; Cass. n. 20858/2021; Cass. n. 5605/2020-.

Sulla base di tali considerazioni il motivo di ricorso proposto dal ricorrente non coglie nel segno, alla stregua del consolidato diritto vivente, al quale si è puntualmente uniformato il giudice di appello.

In conclusione, la Cassazione ha rigettato il ricorso. 

Reddito di libertà per le donne vittime di violenza

L’articolo 3, comma 1, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 dicembre 2020 ha introdotto un contributo denominato “Reddito di Libertà”, destinato alle donne vittime di violenza, senza figli o con figli minori, seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, al fine di contribuire a sostenerne l’autonomia.

La misura, infatti, consiste in un contributo economico, stabilito nella misura massima di 400 euro mensili pro capite, concesso in un’unica soluzione per massimo 12 mesi, finalizzato a sostenere prioritariamente le spese per assicurare l’autonomia abitativa e la riacquisizione dell’autonomia personale, nonché il percorso scolastico e formativo dei figli o delle figlie minori. La misura, inoltre, è compatibile con altri strumenti di sostegno al reddito.

Destinatarie del contributo sono le donne residenti nel territorio italiano che siano cittadine italiane o comunitarie oppure, in caso di cittadine di Stato extracomunitario, in possesso di regolare permesso di soggiorno e le straniere aventi lo status di rifugiate politiche o lo status di protezione sussidiaria.

Con la circolare INPS 8 novembre 2021, n. 166 l’Istituto illustra nel dettaglio la disciplina del Reddito di Libertà, specificando i requisiti di accesso al beneficio, il regime fiscale e le compatibilità con altre misure di sostegno come il Reddito di Cittadinanza o altri sussidi economici anche di altra natura (REM, NASpI , Cassa Integrazione Guadagni , ANF, ecc.).

Sono fornite, inoltre, le indicazioni per la compilazione e la presentazione della domanda che deve essere presentata all’INPS dalle donne interessate, direttamente o mediante un rappresentante legale o un delegato, tramite il Comune di residenza, utilizzando il modello allegato alla circolare.

Per gli operatori comunali autorizzati all’inserimento e alla trasmissione delle domande, sono illustrate le funzionalità della procedura di accesso al servizio online che verrà appositamente rilasciata sul sito e le conseguenti modalità operative e contabili.

Le domande non ammesse “per insufficienza di budget potranno essere accolte in un momento successivo.

https://www.inps.it/news/reddito-di-liberta-per-donne-vittime-di-violenza-requisiti-e-domanda

RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA – NOVITA’ 2022

https://ntplusdiritto.ilsole24ore.com/art/riforma-processo-famiglia-novita-vigore-22-giugno-2022-AE6vb5RB?fbclid=IwAR32LZgc0XkLOIWxJsJjkp3wx3rTd1xqbehHyFOrpPpL651d-5tQq7iaO7w

La legge n. 206 del 26.11.2021 (c.d. Riforma del processo civile), oltre a dedicare particolare attenzione al diritto di famiglia nell’ambito della delega, prevede una serie di disposizioni, di carattere precettivo, volte a trovare applicazione in tutti i procedimenti che verranno instaurati a partire dal 22 giugno 2022 (per un approfondimento v. La riforma del processo e del giudice per le persone, per i minorenni e per le famiglie, a cura di C. Cecchella, Torino, 2022).

In particolare, per quanto riguarda la “rivoluzione” legata ai procedimenti relativi alle famiglie e ai minori, tali novità verranno attuate in 3 specifiche fasi, la prima delle quali partirà proprio alla fine del mese di giugno del corrente anno.

È, quindi, indispensabile, per gli operati della materia, conoscere sin d’ora le norme di immediata attuazione che andranno ad incidere sui processi di nuova introduzione, secondo il principio processuale: tempus regit actum. Le norme, infatti, che andremo brevemente ad esaminare, entreranno in vigore per i procedimenti introdotti con ricorso depositato dopo il 22 giugno 2022.

Vediamo, quindi, che cosa cambierà fra qualche mese.

L’art. 1, comma 37, L. n. 206 del 2021, prevede che decorsi 180 giorni dall’entrata in vigore della legge, quindi dal prossimo 22 giugno, trovino immediata applicazione le seguenti novità:

Modifica dei criteri del riparto di competenza tra Tribunale Ordinario e Tribunale per i Minorenni (comma 28, art. 1, L. 206/2021). La riforma è intervenuta sull‘art. 38 disp. att. c.c., dissipando una volta per tutte i dubbi relativi all’ampiezza della vis atractiva del tribunale ordinario: la scelta è stata quella di estenderla anche al caso in cui il procedimento innanzi al TO sia introdotto dopo la pendenza del procedimento innanzi al TM, non valendo più la regola della prevenzione. Tuttavia, l’unico limite è rappresentato dall’art. 709-ter c.p.c.: infatti, se riferito all’attuazione di provvedimenti emessi dal TM, dovrà essere necessariamente introdotto di fronte a quest’ultimo, mentre laddove venga introdotto autonomamente e fosse proposto innanzi al TO, rende necessario un trasferimento del procedimento di fronte alla prima autorità giudiziaria.

La nuova formulazione dell’art. 403 c.c. Come noto, la disposizione in questione si occupa, sin dall’epoca fascista, dei c.d. allontanamenti d’urgenza decisi ed eseguiti dalla Pubblica Autorità senza la previsione dell’immediato controllo da parte del giudice. Tale norma, oltre ad appartenere indubbiamente ad un’epoca storica ormai superata, conteneva al suo interno espressioni non in linea con l’attuale sensibilità del sentire comune (v. le espressioni “minore allevato in locali insalubri o pericolosi” oppure da “persone per immoralità, ignoranza” incapaci di provvedere alla sua educazione).

Essa è stata, pertanto, interamente riscritta ed ha una portata immediatamente precettiva e, quindi, sostitutiva a partire dal prossimo 22 giugno (v. comma 27, art. 1, L. 206/21).

È stata finalmente prevista una giurisdizionalizzazione della procedura di allontanamento del minore (“se esposto a grave pregiudizio e pericolo per la sua incolumità psico-fisica“) dalla propria famiglia per ordine dell’autorità giudiziaria. In particolare, il legislatore ha previsto un articolato controllo giurisdizionale (sull’azione della Pubblica Autorità da parte del Pubblico Ministero e del Tribunale per i Minorenni) e l’ascolto delle parti e del minore (ma non dei Servizi Sociali). Sono stati, inoltre, previsti tempi adeguati: dalla Pubblica Autorità al Pubblico Ministero (avviso orale immediato e relazione entro le 24h); dal Pubblico Ministero al T.M. (revoca da parte del Pubblico Ministero o richiesta di convalida al Tribunale per i Minorenni entro le 72h); per il Tribunale per i Minorenni tanto nella fase prima dell’udienza (convalida nomina curatore speciale e relatore – fissazione udienza nei successivi 15 giorni entro le 24h), che in udienza (ascolto minore e genitori e decreto revoca o convalida entro 15 giorni).

Revisione delle norme sul curatore speciale del minore. Di grande interesse e di immediata applicazione sono anche le norme relative al curatore speciale del minore, dal momento che si è intervenuto sulle disposizioni di cui all’art. 78 e all’art. 80 c.p.c. La riforma, infatti, ha riordinato le ipotesi in cui al minore deve essere riconosciuta la qualità di parte del processo e, quindi, le ipotesi in cui deve essergli nominato un rappresentate ah hoc, quale il curatore speciale (v. comma 30 e 3, art. 1, L. 206/21).

In particolare, ferma restando la necessità della nomina del curatore speciale nell’ipotesi di conflitto di interessi del minore con il proprio genitore, sono state tipicizzate le ipotesi in cui l’autorità giudiziaria è chiamata a nominare un curatore speciale al minore, distinguendo quelle in cui tale nomina è obbligatoria a pena di nullità (es. decadenza responsabilità genitoriale; provvedimento confermativo dell’allontanamento familiare ex art. 403 c.c.; affidamento eterofamiliare, procedimenti per la dichiarazione dello stato di abbandono del minore; situazione di pregiudizio del minore tale da precluderne l’adeguata rappresentanza processuale e richiesta del minore ultraquattordicenne) da quelle in cui è, invece, facoltativa (temporanea inadeguatezza dei genitori per gravi ragioni a rappresentare interessi del minore). Inoltre, è stato ridisegnato, precisandolo, il procedimento per la nomina e la revoca del curatore speciale (per gravi inadempienze o per il venir meno dei presupposti della sua nomina) e si è introdotta altresì la possibilità per quest’ultimo di avere poteri di natura sostanziale.

La norma, poi, impone al curatore speciale l’ascolto del minore e consente allo stesso minore che abbia compiuto 14 anni, ai genitori, al tutore e al PM, di chiedere, con istanza motivata, la revoca del curatore. In questo modo, dunque, nel “nuovo” curatore speciale del minore vengono a concentrarsi le separate figure originarie del curatore e del difensore del minore, dal momento che tale figura assumerà le vesti anche di difensore tecnico del minore, ruolo, quest’ultimo, che sarà consentito, con la nuova specializzazione ad hoc, agli avvocati iscritti allo speciale albo.

Estensione dell’ambito di operatività della negoziazione assistita. Dalla fine del mese di giugno del corrente anno, si prevede già un’estensione dell’ambito applicativo di tale istituto ai casi di figli minori nati fuori dal matrimonio, nonché ai casi di mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti nati fuori dal matrimonio e per la modifica delle condizioni già determinate. Potrà altresì essere conclusa tra le parti per raggiungere una soluzione consensuale per la determinazione dell’assegno richiesto ai genitori dal figlio maggiorenne non autosufficiente, per la determinazione di alimenti di cui all’art. 433 c.c. e per la modifica di tali determinazioni (v. comma 35, art. 1, L. 206/21).

La nuova formulazione dell’art. 709-ter c.p.c. La norma in questione ha sempre avuto una grande potenzialità applicativa, ma nella prassi è stata spesso utilizzata in modo eterogeneo a seconda della sensibilità dei singoli magistrati. Pertanto, si è immaginato un accostamento più vicino alle astreintes di diritto franco-belga e, quindi, l’applicabilità dell’art. 614-bis c.p.c., al diritto di famiglia: il restyling dell’art. 709-ter c.p.c. prevede, infatti, che il giudice con provvedimento potrà individuare la somma giornaliera dovuta per ciascun giorno di violazione/inosservanza del provvedimento (v. comma 33, art. 1, L. 206/21).

Specializzazione per i consulenti tecnici in materia familiare, redazione albo CTU specializzati e obblighi di formazione. La riforma dà una maggiore attenzione all’iscrizione, alla formazione e alla correttezza delle nomine per ciò che attiene ai consulenti tecnici e periti, nonché alla creazione di un Albo unico dal quale i magistrati e i difensori potranno attingere le professionalità necessarie più confacenti al caso di specie.

Al tal fine, il comma 34, art. 1 della L. 206/2001, modifica l’art. 13 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile dedicata all’albo del CTU e, quindi, nel predetto albo, dal 22 giugno 2022, oltre alle categorie medico chirurgica, industriale, commerciale, agricola, bancaria e amministrativa troveremo anche quelle della neuropsichiatria infantile, della psicologia dell’età evolutiva e della psicologia giuridica o forense.

Queste, dunque, le novità relative alla prima fase di attuazione delle novità del processo di famiglia e che entreranno subito in vigore dal prossimo 22 giugno.

Per quanto riguarda, invece, la seconda fase, entro un anno dalla pubblicazione della legge (stimata indicativamente entro il secondo semestre del 2023), il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per: la creazione del rito unico (c.d. “procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”) per tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario e del tribunale per i minorenni, ad eccezione dei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità, l’adozione di minori d’età, in materia di immigrazione (comma 24, art. 1 L. 206/2021); e per introdurre interventi in materia di negoziazione assistita familiare: in particolare, gli accordi raggiunti a seguito dello svolgimento di siffatta procedura, potranno contenere anche patti di trasferimenti immobiliari con effetti obbligatori, il giudizio di congruità potrà essere effettuato dai difensori con la certificazione dell’accordo delle parti e gli accordi muniti di nulla osta o di autorizzazione verranno conservati in originale, in apposito archivio, tenuto presso i Consigli dell’Ordine degli Avvocati.

Infine, la terza fase ed ultima fase: entro un anno dalla pubblicazione della legge (stimata indicativamente entro la seconda metà del 2025), il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per l’istituzione del Tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie (c.d. Tribunale per le famiglie), articolato in sezioni circondariali e sezioni distrettuali che andrà a sostituire il Tribunale per i Minorenni (comma 25, art. 1, L. 206/2021).

In particolare, le sezioni circondariali, decideranno in composizione monocratica e saranno competenti su tutti i procedimenti: de potestate ad oggi attribuiti al T.M. sulla base di quanto previsto dall’art. 38 disp. att. c.c.; ex art. 403 c.c. e di affidamento eterofamiliare di cui alla l. n. 184 del 1983; relativi alle azioni di stato (escluse, però, quelle relative alla cittadinanza, immigrazione e protezione internazionale), la capacità delle persone e su tutte le controversie riguardanti le unioni civili, convivenze more uxorio, minorenni, procedimenti di competenza del giudice tutelare e risarcimento del danno endofamiliare.

Le sezioni distrettuali, invece, decideranno in composizione collegiale e vedranno l’attribuzione delle competenze in materia civile, amministrativa, penale, di sorveglianza e in materia di adottabilità e adozione, attualmente attribuite al Tribunale per i Minorenni; saranno, infine, altresì competenti relativamente alle impugnazioni dei provvedimenti provvisori o definitivi, emessi dalle sezioni circondariali.

*di Francesca Ferrandi, Avvocato e Dottore di ricerca all’Università di Roma “Tor Vergata”

Liquidazione compensi del CTU e CTP nel processo civile con gratuito patrocinio prenotati a debito

La liquidazione dei compensi ai Consulenti tecnici d’ufficio e di parte nel processo civile con patrocinio a spese Stato prenotati a debito precedentemente alla sentenza della Corte Costituzionale n. 217/2019: indirizzo ministeriale

– di Caglioti Dott. Gaetano Walter

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^https://www.professionegiustizia.it/documenti/notizia/2021/liquidazione-compenso-CTU-processo-civile-gratuito-patrocinio-prenotato-a-debito

Abstrat

A seguito della sentenza della Corte Costituzionale, sentenza n. 217 del 15 giugno 2019 pubblicata il 1 ottobre 2019,che “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 131, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante: «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», nella parte in cui prevede che gli onorari e le indennità dovuti ai soggetti ivi indicati siano «prenotati a debito, a domanda», «se non è possibile la ripetizione», anziché direttamente anticipati dall’erario” era , sin da subito, sorto il dubbi se i decreti di liquidazione emessi prima della decisione della Corte Costituzionale, per i quali non fosse intervenuta estinzione del diritto, ricadessero, o meno, sotto gli effetti della nuova decisione della Coste Costituzionale.

Dubbio superato , in positivo, dal Ministero della Giustizia, con l’indirizzo del 10 febbraio 2021. 2

Pagamenti di spese ed onorari

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 217 del 15 giugno 2019 pubblicata il 1 ottobre 2019, ha riconosciuto il diritto dei consulenti tecnici d’ufficio (C.T.U) e dei consulenti tecnici di parte (C.T.P.) nei giudizi civili, con ammissione al patrocinio a spese dello Stato, a vedersi anticipare, dall’Erario , oltre che le spese 3, anche gli onorari. 4

Prima della decisione della Corte Costituzionale solo per le spese, che erano anticipate dall’Erario, se ne poteva ottenere, immediatamente, per tramite la cancelleria, il pagamento.

Onorari, a carico dell’Erario, quindi, anticipati 5e non più prenotati a debito. 6

Al pagamento di quanto disposto con l’emissione del decreto di liquidazione7 spese ed onorari dei difensori e dei Consulenti Tecnici d’Ufficio e di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, provvede il Funzionario Delegato 8 da cui dipende, relativamente alle spese di giustizia, l’ufficio giudiziario davanti alla quale pende, o pendeva, il giudizio.

In materia di pagamento delle spese di giustizia infatti “il soggetto [ ndr = Magistrato o Funzionario addetto all’Ufficio nei casi in cui la liquidazione avvenga su ordine di quest’ultimo] che liquida la spesa, e che,quindi, se ne assume la responsabilità, è diverso dal soggetto [ ndr = Funzionario Delegato ] che esegue il pagamento.” 9

Le spese di giustizia, nel processo civile come il quello penale10sono gestite attraverso aperture di creditoassegnazione di fondi sui relativi capitoli di spese,a favore dei Funzionari Delegati e sono disposte, anche occorrendo più volte nel corso dell’anno, con decreto dirigenziale della direzione della giustizia civile.11

Attualmente il sistema dei pagamenti è gestito per tramite il sistema SICOGE 12 del Ministero dell’Economia e Finanze.

Effetti temporali delle decisione dei giudici costituzionali

La pubblicazione della decisione13 della Corte Costituzionale aveva fatto sorge il problema relativo alla liquidazione, nelle nuove forme dell’anticipazione , degli onorari dei professionisti prenotati a debito non soddisfatti nei loro diritti stante la peculiarità dell’istituto della prenotazione a debito .

Si era, sin da subito, posto il problema se la sentenza della Corte Costituzionale in oggetto avesse efficacia anche nei confronti degli onorari prenotati a debito, prima della decisione costituzionale stessa, e non ancora prescritti.

In relazione all’efficacia temporale delle sentenze della Corte Costituzionale si è osservato14 che “ la retroattività delle sentenze pronunciate dalla Corte Costituzionale recanti dichiarazioni di illegittimità costituzionale trova il suo naturale limite nella intangibilità delle situazioni e dei rapporti oramai esauriti in epoca precedente alla decisione della Corte”.

Si è, inoltre15 , evidenziato come “l’efficacia retroattiva della sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale di norma di legge non si estende ai rapporti esauriti, ossia a quei rapporti che, sorti precedentemente alla pronuncia della Corte , abbiano dato luogo a situazioni giuridiche ormai consolidate ed intangibili in virtù del passaggio in giudicato di decisioni giudiziali, della definitività di provvedimenti amministrativi non più impugnabili, del completo esaurimento degli effetti di atti negoziali, del decorso dei termini di prescrizione o decadenza, ovvero del compimento di altri atti o fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale “ .

Effetto retroattivo della pronuncia che trova16 , quindi, unico “limite” nelle “ situazioni giuridiche “consolidate” per effetto di eventi che l’ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudica, l’atto amministrativo non più impugnabile, la prescrizione e la decadenza. “17.

Efficacia nel tempo del giudicato costituzionale nella questione in oggetto

La recente direttiva ministeriale degli Uffici di via Arenula18 nel premettere che “..la pronuncia della Corte ha mutato radicalmente la disciplina della liquidazione degli onorari e delle indennità ai soggetti indicati nell’articolo 131, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002…… ha affrontato la questione della efficacia nel tempo del giudicato costituzionale in relazione alla liquidazione di indennità e onorari dell’abrogato comma 3 dell’articolo 131 decreto Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115.

Per gli Uffici ministeriali di via Arenula la non operatività della norma dichiarata incostituzionale va affermata anche con riferimento alle fattispecie anteriori alla pronuncia di incostituzionalità… tale principio trova tuttavia …il suo limite nei giudicati già formatisi , nonché nelle decadenze e prescrizioni verificatesi e non direttamente investite nei loro presupposti normativi della pronuncia di incostituzionalità…

In conclusione , la norma incostituzionale non può esse più applicata, a meno che i rapporti giuridici cui essa si riferisce debbano ritenersi oramai esauriti in modo definitivo ed irrevocabile e dunque non più suscettibili di alcuna azione o rimedia”

Dall’indirizzo ministeriale si ricava, quindi, come il decreto di pagamento emesso ex articolo 83 decreto Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115, qualificato nelle forme dichiarate incostituzionali e non ancora prescritto può essere azionato nelle nuove forme con espressa richiesta di anticipazione in luogo della richiesta di prenotazione a debito.

Soggetto competente all’individuazione dei limiti del giudicato costituzionale

Al dubbio sull’estensione temporale della pronuncia costituzionale ai decreti emessi in data precedente alla decisione si era aggiunto quello dell’individuazione del soggetto a cui rivolgere l’istanza.

Magistrato o Funzionario dell’Ufficio ?

Avevamo prospettato 19 la tesi secondo la quale la richiesta di anticipazione da parte dei professionisti il cui credito non prescritto risultate prenotato a debito non dovesse essere inoltrata al magistrato ma direttamente alla cancelleria dell’ufficio giudiziario in cui si è tenuto o si tiene il processo .

In materia di liquidazioni compensi ai professionisti l’attività del magistrato è [appare] , infatti , limitata all’emissione del decreto di pagamento 20 21 22 e alla condanna , ex articolo 133 decreto Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115, di parte soccombente, diversa dall’ammessa al patrocinio, a rifondere allo Stato quanto anticipato e/o prenotato 23 .

Giurisprudenza di merito 24, nell’immediatezza della pronuncia costituzionale si era pronunciate nel senso che l’annotazione “ tra le spese anticipate ex art. 3 , co. 1lett. f) d.P.R. n. 115/2002 è di stretta competenza amministrativa della Cancelleria, non potendo il giudice disporre nulla al riguardo”.25

Atteso il diritto al pagamento da parte del professionista ( Consulente tecnico d’Ufficio e/o consulente tecnico di parte ammessa al patrocinio ) competente ad individuare, in applicazione della normativa vigente , come la spesa debba essere re-imputata, nella forma dell’anticipazione attesa l’incostituzionalità della prenotazione a debito, sarebbe , quindi, il funzionario della cancelleria addetto al servizio.

liquidazione di situazioni pregresse:l’individuazione ministeriale

Di diverso avviso il Ministero della Giustizia.

Per gli Uffici di via Arenula, nota del 10 febbraio 2021 26 ,“ l’ambito di applicazione delle sentenze costituzionali e l’apprezzamento dei limiti della loro efficacia retroattiva resta ovviamente devoluta alla competenza degli organi giurisdizionali che, come noto, operano in piena autonomia e indipendenza…

Pertanto, l’individuazione dei limiti all’efficacia retroattiva della pronuncia della Corte costituzionale n. 217 del 1 ottobre 2019 , con riferimento ai decreti di pagamento delle spettanze degli ausiliari del magistrato o consulenti della parte ammessa al patrocinio dello Stato emessi dal magistrato in data antecedente alla pubblicazione della predetta decisione , investe un aspetto di interpretazione della legge applicabile rimesso al giudice; ne discende che, a fronte di una istanza del consulente che richiede il pagamento del proprio compenso con la modalità dell’anticipazione a carico dell’Erario ( essendo il meccanismo della prenotazione a debito attinto da incostituzionalità) è demandata al magistrato ogni valutazione in merito al definitivo consolidamento del rapporto giuridico in questione con particolare riferimento alla decorrenza del termine di prescrizione o decadenza previsto dalla legge per l’esercizio del diritto di credito vantato dal professionista.”

Si prende atto della posizione ministeriale ma non se ne condividono le indicazioni.

Non se ne condivide l’inciso “ l’individuazione dei limiti all’efficacia retroattiva della pronuncia della Corte costituzionale n. 217 del 1 ottobre 2019 , con riferimento ai decreti di pagamento delle spettanze degli ausiliari del magistrato o consulenti della parte ammessa al patrocinio dello Stato emessi dal magistrato in data antecedente alla pubblicazione della predetta decisione , investe un aspetto di interpretazione della legge applicabile rimesso al giudice..”

L’efficacia temporale della pronuncia dei provvedimenti della Corte Costituzionale deriva dall’applicazione dei Principi generali della legge , principi ribaditi sia dalla Corte Costituzionale stessa sia dalla giurisprudenza di merito sia dalla giurisprudenza di legittimità.

Non sorprende la “scarsa” fiducia nelle competenze del personale degli uffici giudiziari.

Personale amministrativo evidentemente non ritenuto dai vertici gestionali ministeriali in grado di poter stabilire la prescrizione di un diritto.

Il che è a dir poco risibile.

Si pensi alla responsabilità, dello stesso personale di cancelleria attribuito per legge, Decreto Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115, nella gestione, determinazione del credito e recupero delle spese di giustizia , tra le quali ricordiamo rientrano anche quelle in oggetto .

Il magistrato dovrebbe essere, e giustamente, coinvolto solo nel caso in cui la cancelleria, a monte di una richiesta di pagamento, rifiutasse, motivandone il rifiuto, di eseguirlo.

Prescrizione dei crediti vantati dai professionisti nei giudizi con parti ammesse al patrocinio a spese dello Stato

Da ultimo e relativamente alla prescrizione dei crediti vantati dai professionisti (Consulenti Tecnici d’Ufficio e/o Consulenti Tecnici di Parte) nei confronti dell’Amministrazione della Giustizia si è, generalmente, ritenuto trovasse applicazione il disposto di cui all’articolo 2.956 , numero 2, codice civile ai sensi del quale “si prescrive in tre anni il diritto: …2) dei professionisti , per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative”.

Il precedente orientamento ministeriale 27 della possibile applicazione della prescrizione presuntiva ai crediti in oggetto è mutato a seguito della nota ministeriale del 27 novembre 2013 28 che “ ritiene l’inapplicabilità dell’istituto della prescrizione presuntiva alla materia dei crediti di giustizia”.

Per gli Uffici ministeriali di via Arenula “..tale diversa interpretazione appare motivata da una più attenta analisi del contrasto tra le caratteristiche della prescrizione presuntiva e le modalità di liquidazione e pagamento delle prescrizioni rese dai suddetti professionisti in materia di spese di giustizia, modalità in base alle quali non può che restare abbondante traccia documentale in merito ai vari momenti della suddetta procedura di pagamento.

Ciò ritenuto, appare evidente che specifiche problematiche, quali quelle attinenti alla corretta individuazione del dies a quo della decorrenza del termine prescrizionale o della interruzione dello stesso , non possono che essere definite, di volta in volta, nei casi specifici, dagli uffici giudiziari competenti.”

La nota 29 conclude ”per quanto concerne più specificamente il modo di procedere degli uffici, appare evidente che gli stessi non possono rifiutare di riceversi le fatture relative ad istanze di liquidazione divenute definitive, fermo restando il potere dovere di adottare un provvedimento di diniego del richiesto pagamento, nel caso in cui, una volta assunta la linea interpretativa ritenuta conforme al dettato normativo, si ritenga debba essere opposta l’avvenuta prescrizione”.

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1il presente lavoro fa seguito a quelli pubblicati, in materia, a firma dello scrivente nel mese di ottobre e novembre 2019 .

2circolare Dipartimento per gli affari di giustizia – Direzione generale degli Affari interni – Ufficio I – Reparto I – servizi relativi alla giustizia civile – del 10 febbraio 2021 – DAG. 12/02/2021. 0030477

3articolo 131 , comma 4 lettera c) d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115

4che nella parte dell’ articolo 131 , comma 3 d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 prima dell’intervento della Corte Costituzionale erano invece prenotati a debito

5art. 3 lettera t) d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115/02anticipazione : è il pagamento di una voce di spesa che, ricorrendo i presupposti previsti dalla legge, è recuperabile “

6art. 3 lettera s) d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 prenotazione a debito“ è l’annotazione a futura memoria di una voce di spesa, per la quale non vi è pagamento,ai fini dell’ eventuale successivo recupero”

7Ai sensi delle circolari ministeriali giustizia numeri 4/2002 e 6/2002 “ il decreto di pagamento deve essere emesso – a cura del magistrato – tutte le volte in cui la quantificazione dell’importo richiede un qualche elemento di discrezionalità.” Per le richiamate circolari ministeriali “in merito alla competenza all’emissione dell’ordine di pagamento o del decreto di pagamento, si rileva che, per ciò che concerne l’ordine, esso compete non già al dirigente, ma al funzionario addetto all’ufficio e cioè al funzionario amministrativo secondo l’organizzazione interna , ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 165 e 3 lett. i) T.U. spese di giustizia.”

8Il Funzionario delegato – art. 183 T.U. – è ordinatore secondario di spesa, incaricato all’emissione degli ordinativi di pagamento, è il soggetto che conclude l’iter procedurale delle spese di Giustizia (Nota Min. Giustizia DAG n. 184111.U. del 15/12/2010) . Il Funzionario Delegato a livello Distrettuale per i capitoli di spesa relativi alle liquidazioni in oggetto è identificato, nelle persone dei Dirigenti di Corte e di Procura Generale, circolari n 6 dell’8 giugno 2002 e n 7 del 14 novembre 2002.

9nota ministeriale giustizia DAG.13/12/2006.0132195.U

10come previsto dall’art. 185 del D.P.R. 115/2002

11dagli esercizi successivi al 2019 entrano in vigore le nuove disposizioni di Contabilità pubblica.

12sistema informativo di contabilità integrata delle pubbliche Amministrazioni

13istituto che prevede l’annotazione della spesa ma non un effettivo pagamento della stessa.

14da ultimo Corte di Appello di Catanzaro – sez. II civ. – ordinanza del 30 ottobre 2019 depositata il 6 novembre 2019

15Tribunale Roma 14 febbraio 1995

16Cass. civ. sez. III 28 luglio 1997 n. 7057

17in materia di decadenza per i consulenti tecnici d’ufficio (C.T.U.) trova applicazione l’articolo 71 del testo Unico spese di giustizia che, al comma 2, prevede il termine di decadenza di 100 giorni dall’espletamento dell’incarico, o 200 giorni per l’espletamento di atti fuori dalla sede in cui si svolge il processo; nessun termine di decadenza è invece previsto per i consulenti tecnici di parte (C.T.P).

18circolare Dipartimento per gli affari di giustizia – Direzione generale degli Affari interni – Ufficio I – Reparto I – servizi relativi alla giustizia civile – del 10 febbraio 2021 – DAG. 12/02/2021. 0030477

19vedasi “ compensi ai consulenti tecnici d’ufficio e di parte nel processo civile con patrocinio a spese dello stato: ulteriori criticità a seguito della pronuncia della consulta n. 217/2019” novembre 2019

20perché venga azionato quanto disposto dal richiamato articolo 131 Testo Unico spese di giustizia si necessita, un provvedimento[decreto] ex articolo 83 testo unico spese di giustizia a firma del magistrato che quantifichi il compenso dovuto al consulente tecnico d’ufficio o di parte sia a titolo di onorario che a titolo di spese .

21Corte Costituzionale sentenza 24.9.2015 n.192 “il procedimento di liquidazione dei compensi, in caso di patrocinio a spese dello Stato, presenta carattere giurisdizionale “. Proprio per la sua natura giurisdizionale “ il decreto non è suscettibile di revoca o di modifica d’ufficio “ posto “ che l’autorità giudiziaria che lo emette, salvo i casi espressamente previsti, ha consumato il proprio potere decisionale “ [cfr = nota Ministero della Giustizia prot. n. 1819/2001/U del 23/05/2001, Consiglio Superiore della Magistratura – risposta a quesito del 14/10/2009, circolare Ministero Economia e Finanze n. 19 del 22/05/18? Cassazione Civile, Sez. VI Ordinanza n. 25127 del 07/11/13; Cassazione Civile I Sez., Sentenza n. 22010 del 19/10/07 .] Per i Giudici di Legittimità da ultimo: Cassazione Penale sez. IV sentenza n. 17668 del 14 febbraio 2019 “del resto un potere di revoca o modifica appare del tutto incompatibile con la previsione di un termine perentorio concesso alle parti per opporsi al decreto: insomma, il conferimento del generale potere dell’autotutela, tipico dell’azione amministrativa, è estraneo all’assetto del DPR 115/02 “.

22Il decreto di pagamento costituisce titolo (unico) per di pagamento della spesa ai sensi dell’articolo 171 Testo Unico spese di Giustizia; per la circolare Giustizia DAG.13/10/2009.0124745.U “i provvedimenti di liquidazione spese ai professionisti (difensori, ausiliari del magistrato e/o consulenti di parte ammessa al patrocinio) sono da emanarsi nella forma del decreto ex articoli 82 e 83 Testo Unico spese di giustizia” conforme la giurisprudenza della Corte di Cassazione : Cass. civ. 31 marzo 2011, n. 7504, Cass. pen. sez. IV 17-11-2008 n. 42844

23La nota Ministero Giustizia dell’ 8 febbraio 2011 Direzione Generale Giustizia Civile prot. n. 16318, in data 8.2.2011 pone l’accento sulla opportunità “che i provvedimenti giurisdizionali tengano in adeguato conto il particolare regime delle spese nei processi in cui una delle parti gode del beneficio dell’istituto dell’ammissione al patrocinio a spese dell’erario, in quanto tali atti costituiscono il titolo della riscossione”In relazione alla successiva (se pur eventuale ricorrendone i presupposti) attività di recupero è essenziale nel provvedimento giurisdizionale l’espressa imputazione del pagamento a favore dell’erario, per come espressamente previsto, per il processo penale, dall’articolo 110 T.U spese di giustizia, e, per il processo civile, dal successivo articolo 133

24Tribunale di Paola Ordinanza del 30 ottobre 2019 depositata il 31 ottobre 2019.

25il magistrato, oggi in servizio in un importante Ufficio giudiziario del nord, relatore della richiamata ordinanza è profondo conoscitore della materia del testo unico spese di giustizia

26circolare Dipartimento per gli affari di giustizia – Direzione generale degli Affari interni – Ufficio I – Reparto I – servizi relativi alla giustizia civile – del 10 febbraio 2021 – DAG. 12/02/2021. 0030477

27Ministero della Giustizia prot. 0137280 del 15 ottobre 2010

28Ministero della Giustizia DAG.27/11/2013.0159106.U

29tra l’altro trasmessa alle sole Corti di Appello di Napoli e di Reggio Calabria

Sugli atti idonei ad interrompere la prescrizione, nel termine di un anno, dell’azione di garanzia per i vizi della cosa comprata si pronunciano le SS.UU. civili. Cassazione Sentenza n. 18672/2019

https://www.professionegiustizia.it/documenti/notizia/2019/interruzione-prescrizione-garanzia-vizi-compravendita

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Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno risolto una questione di massima importanza riguardante il contrasto giurisprudenziale insorto sull’effetto giuridico dell’atto stragiudiziale ai fini della interruzione del termine di prescrizione di un anno nella garanzia per vizi della cosa compravenduta, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 1495 c.c.

Il termine di prescrizione della denuncia dei vizi

L’art. 1495 c.c. “Termini e condizioni per l’azione” dopo aver stabilito che il vizio deve essere denunciato entro 8 giorni dalla scoperta, al terzo comma detta la seguente norma: “L’azione si prescrive, in ogni caso, in un anno dalla consegna … ”.

Giurisprudenza ha inteso prevalentemente che tale termine di prescrizione potesse essere interrotto non come per la usuale prescrizione con una semplice messa in mora, ma solamente con un atto processuale, con l’inizio di una controversia sul vizio, ivi compresa la domanda di accertamento di cui all’art. 1513 c.c., che si riporta per completezza espositiva:

1513. Accertamento dei difetti
1. In caso di divergenza sulla qualità o condizione della cosa, il venditore o il compratore possono chiederne la verifica nei modi stabiliti dall’articolo 696 del codice di procedura civile. Il giudice, su istanza della parte interessata, può ordinare il deposito o il sequestro della cosa stessa, nonché la vendita per conto di chi spetta, determinandone le condizioni.
2. La parte che non ha chiesto la verifica della cosa, deve, in caso di contestazione, provarne rigorosamente l’identità e lo stato.

Esiste, tuttavia, un indirizzo opposto secondo il quale la prescrizione sarebbe interrotta anche dalla semplice manifestazione stragiudiziale del compratore diretta al venditore della volontà di voler esercitare l’azione di garanzia.

La sezione rimettente ha chiesto di stabilire quali atti siano idonei ad interrompere la prescrizione di cui al terzo comma dell’art. 1495 c.c. e cioè se, a tal fine, e siano idonei anche atti diversi dall’apertura del giudizio e in caso affermativo, quali contenuti debbano avere questi atti stragiudiziali.

Secondo le SS.UU. la soluzione di tale “questione postula a monte la risoluzione di altra controversa problematica relativa alla natura giuridica della garanzia per vizi e del rapporto tra le categorie generali della “garanzia” da una parte e delle situazioni giuridiche passive dall’altra”.

Nell’esame di ciò la Suprema Corte descrive e si sofferma sulle varie forme di garanzie per vizi codicistiche per le quali si rimanda alla lettura della sentenza.1

Natura della garanzia per vizi della cosa compravenduta

La Corte ha modo di affermare che “si rileva come la configurazione dogmatica della garanzia per vizi non sia del tutto pacifica”. Al fine di dare una indicazione univoca afferma di rifarsi al risolutivo inquadramento operato dalle stesse Sezioni unite con sentenza n. 11748 del 3 maggio 2019. Vedasi al riguardo in questa stessa rivista “Azioni edilizie nella compravendita e onere della prova. Novità dalle SS.UU. – Sull’onere della prova per i vizi della cosa compravenduta (azione redibitoria e quanti minoris) le SS.UU. modificano il precedente orientamento. Cassazione SS.UU. civili Sentenza n. 11748/2019” nella quale si legge la alquanto ricostruttiva asserzione secondo la quale : “… la disciplina della compravendita non pone a carico del venditore nessun obbligo di prestazione relativa alla immunità della cosa da vizi”.

Un nuovo inquadramento è dato altresì alle azioni edilizie ed in particolare, come affermano le odierne SS.UU. “i rimedi edilizi siano rimedi sostanziali in quanto attraverso di essi il compratore fa valere un diritto contrattuale”. Se così si inquadra il fenomeno, allora si potrebbe concludere, affermano le SS.UU., che “sarebbero idonei a interrompere la prescrizione non solo il riconoscimento, da parte del venditore, (non del vizio ma) del diritto del compratore alla garanzia, ma anche, in virtù dell’art. 2943 c.c., gli atti di costituzione in mora del venditore e pure l’impegno assunto da quest’ultimo di eliminare i vizi”.

L’atto stragiudiziale idoneo ad interrompere la prescrizionne dell’azione edilizia

Sulla base di tali fondamenta la Corte prosegue affermando che “la prescrizione della garanzia per vizi è interrotta dalla comunicazione al venditore della volontà del compratore di esercitarla benché questi riservi ad un momento successivo la scelta del tipo di tutela, dovendosi escludere che la riserva concerna un diritto diverso da quello in relazione al quale si interrompe la prescrizione”.

Il dettato letterale della norma non ostacola detto indirizzo e, anzi, si afferma: “La formula ora prevista nel comma 3 dell’art. 1495 del vigente codice civile si richiama esplicitamente alla prescrizione e, pur discorrendosi di prescrizione dell’azione, va rilevato che il ricorso a tale terminologia non può ritenersi decisivo nel senso che debba ritenersi riferibile esclusivamente all’esercizio dell’azione giudiziale”.

Il riferimento all’ “azione” sarebbe un inciso “atecnico” che non ha valore stringente.

Ancora, per concludere, le SS.UU. affermano: “Quando si avvale della “garanzia” il compratore fa valere l’inadempimento di una precisa obbligazione del venditore (contemplata dall’art. 1476 n. 3) c.c.) e, conseguentemente, sul piano generale, deve ammettersi che lo possa fare attraverso una manifestazione di volontà extraprocessuale e ciò si inferisce anche da quanto stabilisce l’art. 1492, comma 2, c.c., il quale, prevedendo che “la scelta è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale”, significativamente la prefigura, riconnettendo, invero, alla domanda in sede processuale la sola impossibilità di rimeditare l’opzione tra risoluzione e riduzione del prezzo”.

L’affermazione secondo la quale “Quando si avvale della “garanzia” il compratore fa valere l’inadempimento di una precisa obbligazione del venditore” pare in netto contrasto con la pur richiamata SS.UU. 11748/19 visto che in quella sede si legge che le azioni edilizie prescindono dall’inadempimento del venditore che, si aggiunge “Si tratta di una responsabilità che prescinde da ogni giudizio di colpevolezza del venditore e si fonda soltanto sul dato obiettivo dell’esistenza dei vizi “; che, infine, si tratterebbe di “una responsabilità contrattuale speciale”, che non scaturisce da fonte obbligatoria. L’impressione è che le SS.UU: non abbiano ancora finito di elaborare i principi sottostanti la garanzia della cosa comprata.

A conclusione le SS.UU. enunciano seguente principio di diritto:

“nel contratto di compravendita, costituiscono – ai sensi dell’art. 2943, comma 4, c.c. – idonei atti interruttivi della prescrizione dell’azione di garanzia per vizi, prevista dall’art. 1495, comma 3, c.c., le manifestazioni extragiudiziali di volontà del compratore compiute nelle forme di cui all’art. 12191 comma 1, c.c., con la produzione dell’effetto generale contemplato dall’art. 2945, comma 1, c.c.”

___________

1Che sono “la garanzia per evizione, la garanzia per vizi (artt. 1490-1496 c.c.), la mancanza di qualità (art. 1497 c.c.) e la garanzia di buon funzionamento (art. 1512 c.c.)”.

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO

Riorganizzazione aziendale e licenziamento: l’onere della prova del datore di lavoro in tema di repechage

tratto da www.dirittoegiustizia.it

In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo per riorganizzazione aziendale e onere di repechage, il datore di lavoro deve dimostrare che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa, nonchè di aver inutilmente prospettato al dipendente la possibilità di reimpiego in mansioni inferiori.

(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 29099/19; depositata l’11 novembre)

Parti comuni in condominio

Quanto alle scale – così come i pianerottoli, quali componenti essenziali di esse, ovvero gli androni -, esse rappresentano elementi necessari alla configurazione di un edificio diviso per piani, configurando anche mezzo indispensabile per accedere al tetto o alla terrazza di copertura, anche al fine di provvedere alla loro conservazione – si veda, per un approfondimento, anche in relazione alla giurisprudenza qui citata, la seconda edizione del volume Riccardo Mazzon, “Manuale del contenzioso condominiale“, Maggioli 2019 -; pertanto, la presunzione di proprietà condominiale delle scale non viene superata dal mero fatto per cui il regolamento condominiale, tra le varie scale esistenti per l’accesso al lastrico di copertura, ne privilegi una, espressamente indicandola come normale via d’accesso ad esso: anzi, esse devono presumersi comuni nella loro interezza, anche se poste concretamente al servizio soltanto di talune delle porzioni dello stabile, a tutti i partecipanti alla collettività condominiale” (Cass. civ., Sez. II, 20/04/2017, n. 9986, CED Cassazione 2017; Cass. civ., Sez. VI, 2, 09/03/2016, n. 4664, Quotidiano Giuridico, 2016; Cass. civ. Sez. II, 21/05/2015, n. 10483, Imm. e propr., 2015, 8-9, 532, Giur. It., 2015, 10, 2074 Cass., sez. II, 26 novembre 1999, n. 13200, GC, 2000, I, 1717; Cass., sez. II, 10 luglio 2007, n. 15444, GDir, 2007, 41, 65; Cass., sez. II, 7 maggio 1997, n. 3968, RGE, 1998, I, 318; Cass., sez. II, 1 marzo 1995, n. 2324, GCM, 1995, 479; Cass., sez. II, 23 febbraio 1994, n. 1776, GCM, 1994, 197; Cass., sez. II, 14 febbraio 2006, n. 3159, GCM, 2006, 2; Cass., sez. II, 22 marzo 1985, n. 2070, GCM, 1985, 3; Cass., sez. II, 3 settembre 2010, n. 19045, DeG, 2010; Cass., sez. II, 18 dicembre 1995, n. 12894, GCM, 1995, 12; Cass., sez. II, 29 ottobre 2003, n. 16241, RGE, 2004, I, 590; Cass., sez. II, 9 giugno 2000, n. 7889, GCM, 2000, 1260; Cass., sez. II, 26 ottobre 2000, n. 14128, GCM, 2000, 2184; App. Catania, sez. II, 21 ottobre 2009, GM, 2010, 5, 1315; Cass., sez. II, 27 gennaio 1993, n. 966, ALC, 1993, 256; Cass., sez. II, 20 febbraio 1984, n. 1209, GCM, 1984, 2; Cass., sez. II, 24 ottobre 1979, n. 5565, GCM, 1979, 10; Cass., sez. II, 2 agosto 2010, n. 17993, DeG, 2010; in fattispecie relativa alla costruzione eseguita su un cortile destinato all’uso comune degli edifici che lo circondano: Cass., sez. II, 14 novembre 1996, n. 9982, GCM, 1996, 1522; Cass., sez. III, 10 luglio 1991, n. 7630, GC, 1992, I, 458; Cass., sez. II, 26 gennaio 1998, n. 714, FI, 1999, I, 217; Cass., sez. II, 12 gennaio 1980, n. 286, GCM, 1980, 1; Cass., sez. II, 6 dicembre 1978, n. 5772, FI, 1979, I, 353;  parcheggio: Trib. Milano 12 febbraio 1987, GC, 1987, I, 2674; Trib. Bari, sez. II, 25 febbraio 2009, n. 696, Giurisprudenzabarese.it, 2009; Trib. Como 29 giugno 2007; Cass., sez. II, 7 aprile 2000, n. 4350, GCM, 2000, 742; Trib. Milano 13 novembre 1989, ALC, 1991, 154; Trib. Trani 27 luglio 2004; Cass., sez. II, 13 gennaio 1984, n. 273, GCM, 984, 1; Cass., sez. II, 29 aprile 1982, n. 2702, GCM, 1982, 4; Cass., sez. II, 16 aprile 1988, n. 2999, GCM, 1988, 4; Cass., sez. II, 1 aprile 2003, n. 4905, GI,  2004, 981; Cass., sez. III, 24 ottobre 1995, n. 11068, GCM, 1995, 10; Cass., sez. II, 25 agosto 1986, n. 5167, FI, 1987, I, 90; Cass., sez. II, 26 novembre 1998, n. 11996, GCM, 1998, 2462; Trib. Torino 5 luglio 1983, RGE, 1984, I, 509;  Cass., sez. II, 9 aprile 1998, n. 3667, GCM, 1998, 775; Cass., sez. II, 27 giugno 1996, n. 5946, GCM, 1996, 927; Cass., sez. II, 6 novembre 1987, n. 8222, GCM, 1987, 11; Cass., sez. III, 22 agosto 1978, n. 3910, GC, 1979, I, 321; Cass., sez. lav., 2 ottobre 1985, n. 4780, FI, 1986, I, 490; Trib. Roma, sez. V, 4 agosto 2009, n. 16953; Trib. Lanciano 28 maggio 1977, GI, 1980, I, 2, 331; Cass., sez. II, 23 luglio 1983, n. 5076, GCM, 1983, 7).

Tali beni, dunque, hanno natura di beni comuni, ai sensi dell’art. 1117 c.c., anche, ad esempio, relativamente ai condomini proprietari dei negozi con accesso dalla strada, essendo anche essi interessati a usufruire delle scale, e, quindi, dei pianerottoli, perché interessati alla conservazione (e manutenzione) della copertura dell’edificio della quale anche essi godono.

Di più: anche in un fabbricato con più scale, l’apertura di un nuovo varco di ingresso costituisce un miglioramento della funzionalità di tutto l’immobile sicché, anche se poste concretamente al servizio soltanto di talune delle porzioni dello stabile, esse sono beni comuni dell’intero condominio – se non diversamente previsto dal titolo – (e i relativi costi non possono essere addebitati solo ai proprietari della scala che ne trae un beneficio immediato); la semplice presenza in un edificio di più scale e più androni, infatti, non è di per sé sola sufficiente – in mancanza di più puntuali indicazioni circa le concreta conformazione e le caratteristiche strutturali del fabbricato, specie se esso costituisca un unico blocco – a far ritenere la piena autonomia e indipendenza strutturale e funzionale delle relative porzioni immobiliari rispetto alla rimanente parte dell’intera opera edilizia (ove si tenga conto, si ripete, che funzione della scala è anche quella di consentire l’accesso al tetto o al lastrico solare comuni all’intero edificio, e che l’androne non da accesso solo alla scala, ma anche ai muri perimetrali, anch’essi comuni all’intero stabile condominiale).

Per contro, la circostanza che la scala comune di un edificio condominiale sia utilizzata, da uno dei condomini, anche per accedere – nella specie, tramite l’appartamento di sua proprietà, sito nello stabile condominiale – ad una sua diversa proprietà, sita in un edificio autonomo (e dotato di una propria scala), adiacente a quello in condominio, non vale a far operare per detta scala, anche con riferimento a quest’ultima proprietà, la presunzione di comunione di cui all’articolo 1117 del codice civile il cui presupposto è la permanente ed oggettiva destinazione di determinate cose o parti al servizio e godimento collettivo, cioè di tutti i condomini (salva l’eventuale rilevanza che sotto altri profili possa avere tale situazione di assoggettamento del bene al servizio anche dell’immobile estraneo al condominio): ne consegue che il proprietario del bene immobile estraneo al condominio non può essere chiamato, in tale veste, a partecipare alle spese di riparazione o ricostruzione delle scale condominiali.

Problematiche particolari investono, per le loro peculiari caratteristiche, i cc.dd. “pianerottoli” di accesso dalle scale ai singoli appartamenti ove, pacifico essendo che l’atto costitutivo del condominio possa senz’altro sottrarli al regime della condominialità e riservarli, in tutto o in parte, al dominio personale esclusivo di singoli proprietari, rispetto ai medesimi, è opportuno che il giudice di merito accerti se essi siano effettivamente vicini alle scale e presentino comunque caratteristiche che li rendano necessari all’uso comune: in effetti, qualora un’area sia oggetto di uso esclusivo da parte di alcuni comproprietari e tuttavia, pur non rientrando fra la parti elencate dall’art. 1117 c.c., sia altresì idonea – per le sue caratteristiche strutturali e funzionali – a soddisfare interessi comuni, questi ultimi prevalgono, dovendo il bene ritenersi di proprietà comune in virtù della presunzione che, in base alla norma citata, opera se non è superata dal titolo contrario.

Quanto ai canali di scarico, essi sono oggetto di proprietà comune solo fino al punto di diramazione, degli impianti medesimi, ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini, mentre la braga, quale elemento di raccordo fra la tubatura orizzontale (di pertinenza del singolo appartamento) e la tubatura verticale (di pertinenza condominiale), è strutturalmente posta nella diramazione e non può rientrare nella proprietà comune condominiale, che è tale perché serve all’uso (ed al godimento) di tutti i condomini.

Quanto al cortile (al quale è da equipararsi il giardino), esso – tecnicamente – rappresenta l’area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio – o di più edifici – e serve a dare luce e aria agli ambienti circostanti; quella di dare luce, aria ed eventualmente accesso resta, in effetti, la sua funzione primaria.

Peraltro, avuto riguardo all’ampia portata della parola e, soprattutto alla funzione di dare aria e luce agli ambienti che vi prospettano, nel termine cortile possono ritenersi compresi anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell’edificio, quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi, i quali, sebbene non menzionati espressamente nell’art. 1117 c.c., vanno ritenuti comuni a norma della suddetta disposizione: le specifiche utilità di presa d’aria e luce o di accesso non esauriscono, pertanto, le potenzialità di sfruttamento del cortile, attinenti, tra l’altro, al parcheggio di veicoli o, anche, al deposito temporaneo di materiali durante i lavori di manutenzione delle singole unità.

Per altro verso, proprio perché la funzione precipua dei cortili comuni è quella di fornire aria e luce alle unità abitative che vi prospettano, lo spazio aereo ad essi sovrastante non può essere occupato, dai singoli condomini, con costruzioni proprie in aggetto,  non essendo consentito a terzi, anche se comproprietari insieme ad altri, ai sensi dell’art. 840 comma 3 c.c., l’utilizzazione ancorché parziale a proprio vantaggio della colonna d’aria sovrastante ad area comune, quando la destinazione naturale di questa ne risulti compromessa; ne discende, ovviamente, il diritto degli altri condomini di opporsi, ai sensi dell’art. 840 comma 3 cit., a siffatta utilizzazione esclusiva dello spazio aereo, senza necessità di chiamare in causa altri condomini al di fuori di quelli cui s’addebita la responsabilità della violazione che s’intende eliminare (non ricorrendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario).

La funzione naturale del cortile, comunque, non è (necessariamente) incompatibile con l’appartenenza o la destinazione di esso all’uso esclusivo di uno o più condomini, né l’obbligo, da parte di costoro, di rispettare quella funzione comporta il sorgere di diritti particolari in favore degli altri partecipanti al condominio.

Anche il cavedio (denominato anche chiostrina, vanella o pozzo luce) è un cortile, seppur di piccole dimensioni, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari (quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi): perciò è sottoposto al medesimo regime giuridico del cortile.

La “presunzione” di comunione, di cui all’articolo 1117 del codice civile, non opera, invece, con riferimento all’area circostante il fabbricato né con riferimento al suolo ad esso adiacente, in quanto “il suolo su cui sorge l’edificio”, che a norma dell’art. 1117 n. 1 c.c. è presunto comune tra i condomini di un edificio, è soltanto quello occupato e circoscritto dalle fondamenta e dai muri perimetrali esterni, mentre il suolo adiacente o circostante può rientrare tra le cose comuni unicamente per diverso titolo (ad esempio, quando l’area “de qua” presenti quelle caratteristiche di oggettiva destinazione del bene all’uso comune – tipica ad es. di cortili, porticati e simili – che renda applicabile la citata presunzione: si esige, cioè, una valutazione dello stato effettivo dei luoghi e dei rapporti strutturali intercorrenti tra i manufatti condominiali e la suddetta area).

da www.personaedanno.it